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Arlo Bigazzi e Chiara Cappelli e la ricerca transmediale Majakovskij!

Arlo Bigazzi e Chiara Cappelli e la ricerca transmediale Majakovskij!

Courtesy Gian Marco Martini

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Il compositore e bassista Arlo Bigazzi, assieme al fratello Giampiero una delle colonne dell'etichetta discografica indipendente Materiali Sonori, è autore di numerosi lavori originali nei quali fonde molteplici riferimenti musicali, talvolta anche intrecciando la musica con altre forme artistiche, come nel caso del recente Tribæ Soundtrack, "colonna sonora" per l'omonima graphic novel del disegnatore Luca Brandi. Lo stesso vale per il suo ultimo lavoro, Majakovskij!, uscito in doppio CD il 25 Ottobre, anniversario della Rivoluzione Russa, ma in realtà vivo da oltre quattro anni sotto forma di spettacolo "in divenire." In esso si fondono infatti musica, reading e teatro, per poi andare anche oltre, visto che il progetto si è trasformato anche in un libro con il testo, una serie di saggi a commento e due graphic novel.

Nella forma che ha assunto nell'uscita discografica, il progetto ha una doppia versione. La prima, quella originaria e propria del live, ha al centro la voce di Chiara Cappelli—un'attrice e non una cantante—che, scaglionandolo in diciotto scene quasi senza soluzione di continuità, interpreta un testo che narra in modo piuttosto atipico la figura del poeta russo, integrandosi con la musica scritta da Bigazzi e da lui eseguita assieme a Mirio Cosottini alla tromba e al flicorno, Francesco Cusumano alla chitarra, Lorenzo Tommasini a tastiere ed elettronica, oltre a numerosi ospiti che intervengono in più punti. La seconda, leggermente più breve e scandita su dodici scene, è invece interamente strumentale e per questo dà maggiore spazio agli ospiti.

Difficile indicare una cifra della musica, a maggior ragione considerando la presenza di una voce che a rigore dovrebbe essere definita "recitante," ma che invece riesce a fungere da strumento a dispetto del fatto di non esprimere un canto. Certo, dentro troviamo innumerevoli suggestioni: dall'elettronica al pop, dalla contemporanea all'improvvisazione, dal rock—specie progressive, ma non solo—a certe influenze del jazz contemporaneo—dal Davis elettrico a Bill Frisell. Il tutto, appunto, fuso con un testo originale, narrativo ed evocativo, che si lascia seguire perfettamente nel suo esser sospinto dalla musica. Anche su disco, pur in mancanza della presenza scenica dell'attrice.

Un progetto dunque assai singolare, che sta giustamente riscuotendo una notevole attenzione nonostante sia stato ostacolato dall'incombere della pandemia. Ne abbiamo parlato con i due ideatori e principali protagonisti, Arlo Bigazzi e Chiara Cappelli.

All About Jazz: Inizierei chiedendovi chi dei due abbia avuto per primo l'idea del progetto e chi poi abbia concretamente provveduto alla stesura del testo, visto che leggendo il libro non si riesce a chiarirlo completamente.

Chiara Cappelli: Sai che è difficile dirlo? Ci eravamo conosciuti lavorando assieme in alcune opere teatrali, sotto la direzione di altri e con giovani attori dell'area valdarnese tra i quali c'era suo nipote Pierfrancesco, alle quali Arlo collaborava per le musiche. Poi un giorno abbiamo pensato che sarebbe stato bello fare qualcosa assieme di nostro, dirigendoci da soli, e cercando un tema per farlo abbiamo pensato a Majakovskij. Perché proprio lui? Perché era una cosa che ci accomunava: io al liceo e all'università ho studiato russo e l'avevo affrontato—invero un po' marginalmente, perché il Novecento non viene mai affrontato come si dovrebbe—e mi aveva appassionato moltissimo, mentre lui...

Arlo Bigazzi: ...io in realtà avevo con Majakovskij una relazione complicata, che ho capito solo col tempo. Ma prima di spiegarla vorrei dare la mia versione. Sì, fui coinvolto da Pierfrancesco in uno spettacolo dove c'era anche Chiara, anzi nel quale loro due erano marito e moglie. Durante una delle prove, mentre ero impegnato a suonare e loro recitavano, questa ragazzina minuta—perché son passati ormai diversi anni, otto o nove, e Chiara allora era proprio giovanissima—dette uno schiaffo a Pierfrancesco con una tale intensità che io, che di solito nel lavoro sono molto concentrato e non mi lascio distrarre da quel che succede attorno, per un attimo rientrai nei panni dello zio: stavo per posare il basso e andare a difendere il nipote! Fu un attimo, ma fu anche una sensazione che non avevo mai provato e che mi fece riflettere: qui c'è qualcosa, pensai. Fu così che nacque l'interesse. L'amore vero nacque però durante lo spettacolo Pasolini: frammenti in forma di rosa, dove lei interpretava la poesia "Alla bandiera rossa" di Pasolini su una struttura musicale d'accompagnamento che io eseguivo: ecco, lì trovai con lei un interplay che mi permetteva anche di improvvisare, cosa per me veramente rara con gli attori. Se io tenevo una nota lunga, per dire, percepivo che lei era lì ad ascoltare per cogliere il momento di entrare. Così, per un anno abbiamo fatto letture assieme e ci siamo davvero divertiti, con una parte improvvisativa che ci dava molta soddisfazione. Così tanto che, dopo quell'esperienza, mi pare fu proprio Chiara a proporre di fare qualcosa assieme e, fatte un paio di chiacchierate per capire cosa poter mettere in cantiere, saltò fuori Majakovskij.

All'inizio io non ero per niente convinto: lo accettai solo perché ero stimolato dall'idea di fare una cosa con lei, ma in realtà, dopo un forte amore giovanile, Majakovskij l'avevo abbandonato, anzi non lo volevo proprio più sentir nominare. Il perché l'ho capito lavorandoci sopra in questi anni... non sopportavo l'immagine del vate della Rivoluzione Comunista, quello costantemente col pugno alzato. Inoltre, anche le poesie mi davano una sensazione strana, di disturbo, che faticavo a capire e della quale abbiamo poi scoperto la ragione grazie al fatto che Chiara conosce il russo e ha rifatto le traduzioni: nelle versioni più diffuse, quelle che avevo avuto occasione di leggere, le scelte linguistico-terminologiche sono bislacche, forse adatte ai primi del Novecento, ma oggi quasi incomprensibili. Senza contare che l'immagine che abbiamo di Majakovskij è essenzialmente quella del poeta, mentre si tratta solo di una delle sue molte facce, perché lui ha fatto anche l'attore, lo sceneggiatore, il grafico. Così, quando ci accordammo su Majakovskij, io misi subito un preciso paletto: ci saremmo fermati alla rivoluzione, ed è una cosa che ritorna anche nel testo. È grazie a questa scelta che ho poi scoperto il Majakovskij ragazzo. Non è stato facile, perché mancano vere e proprie biografie giovanili, o almeno io non le ho trovate, nonostante mi sia documentato molto: tutto quel che ho scritto nel testo, infatti, viene dalle opere che ho consultato, talvolta in forma di vera e propria citazione; ma spesso gli aspetti umani vengono più dalle loro note e molte cose anche in quei lavori non sono né chiare, né coerenti, a cominciare dal suo grande amore per Lilja Brik, che non si capisce quanto sia vero e quanto leggendario o costruito.

AAJ: Il testo, appunto: ma chi l'ha scritto? Arlo? Chiara? Entrambi?

AB: L'ho scritto io, ma con un continuo confronto con lei sia per gli aspetti storici, sia—soprattutto—per la ricerca delle parole: la domanda che ci facevamo più spesso era: ma questa cosa qui come l'avrebbe detta un ragazzo di vent'anni? Io leggevo, via via che trovavo cose interessanti me le segnavo e poi le mettevo in ordine cronologico; parallelamente, assieme a Chiara sceglievamo le poesie da inserire, che lei ha tradotto. Senza però dire mai veramente la parola "fine": il primo spettacolo l'abbiamo fatto nel febbraio del 2017, ma il copione è quello del disco solo da un paio d'anni, perché fino ad allora abbiamo continuato a modificarlo.

CC: Sì, l'abbiamo cambiato in continuazione! Anche perché magari ci rendevamo conto che sul palco alcune frasi funzionavano meglio in altro modo e modificavamo, rielaborando fino al giorno della registrazione del disco.

AB: Ci sono parti, per esempio quella in cui si parla dei giovani e degli studenti, che ho rielaborato non so neppure io quante volte! Del resto, mi sono solo improvvisato drammaturgo: io non lo sono.

AAJ: Infatti sono rimasto piacevolmente stupito quando ho visto che l'avevate scritto voi.

CC: È stato un lavoro massacrante, spinto solo dalla voglia di fare questa cosa assieme, dal latente amore che ambedue avevamo per il soggetto e dal desiderio di mettersi alla prova su tutti i fronti. A un certo punto abbiamo anche barcollato, pensando di chiedere aiuto a qualche amico regista. Però, forse, se non ci avessimo lavorato così tanto e con tutta questa sofferenza, non saremmo arrivati così lontano: dallo spettacolo alle sue successive revisioni, poi al disco e infine anche al libro. E continuiamo a non considerarlo finito: spuntano fuori sempre nuove idee e non è detto che—se lo riporteremo in scena quando finalmente riapriranno i teatri— Arlo non cambi anche parte delle musiche.

AAJ: Non sono un critico letterario e non posso dare un serio giudizio sul testo, al massimo un giudizio di gusto personale; tuttavia, considerando che non ho un buon rapporto con la poesia e che sono criticamente sensibile nei confronti della retorica, devo dire che il fatto di aver apprezzato l'evolvere della narrazione senza che niente mi disturbasse lo considero segno di una tessitura comunicativa quantomeno buona.

AB: Mi fa piacere, perché corrisponde a quel che volevamo fare: non un'opera filologica—c'è chi ci critica perché non abbiamo parlato del Majakovskij maturo, post 1917, ma a noi non interessava farlo—né un'esegesi poetica—perché il Majakovskij poeta è solo una parte di quel che volevamo rappresentare. In questo senso, una delle critiche che ci sono state rivolte riguarda l'assenza di stacco tra le poesie e il testo scritto da me, mentre si tratta di una cosa voluta. La nostra intenzione era proprio far sì che le poesie fossero percepite come parte del flusso narrativo, che la voce di Majakovskij si fondesse con la storia, e affinché questo succedesse abbiamo non solo scelto le poesie con molta attenzione, sacrificandone dolorosamente alcune che ci sarebbe piaciuto inserire, ma anche lavorato duro riscrivendo più volte il testo per renderlo omogeneo. Non so se un drammaturgo di solito lavori così, noi siamo dei dilettanti in questo campo, però la cosa era intenzionale e il lavoro per realizzarla è stato massiccio!

CC: Posso confermare!

AB: Un'altra parte impegnativa di questo lavoro è stata quella che abbiamo fatto sulla recitazione, tanto che un paio di volte—ma due sole!—c'è capitato anche di litigare. Perché il passaggio dalle letture che avevamo fatto prima a uno spettacolo nel quale la musica non aveva più solo un ruolo di mero accompagnamento, non poteva essere immediato. Così, dopo aver scritto il testo e la musica, quando abbiamo iniziato a provare ci siamo trovati davanti all'esigenza di studiare e costruire i tempi di interazione, che non potevano e non dovevano più essere quelli di un semplice reading. Che invece, comprensibilmente, era quello che di primo acchito veniva fuori a Chiara...

CC: Sì, anche perché quando hai davanti un leggio con un libro, anche se poi sai che lo toglierai, ti viene naturale scivolare sull'approccio della lettura.

AB: ... così una volta è successo che le ho fatto ripetere una frase, non so, dieci, forse quindici volte. E lei è esplosa: "allora dimmelo che queste cose non le so fare!," e mi tirò il copione. Aveva ragione, il lavoro che stavamo facendo per lei era più che duro: era crudele. Ma è grazie a quel lavoro che siamo riusciti a costruire qualcosa che, all'inizio, non sapevamo neppure che forma potesse avere. E che l'ha presa in un crescendo progressivo: all'inizio doveva essere una cosa semplice, con basso, chitarra e voce; poi è diventato un progetto transmediale, con video rintracciabili in rete; poi si è aggiunto anche il libro... Insomma, un progetto aperto sempre in divenire. E che ci piace proprio per questo, perché il progredire, il crescere, il mutare sono rappresentativi dello stesso Majakovskij.

CC: Concordo, il progetto è, e resta, un continuo studio in divenire, iniziato con la ricerca preparatoria, per la quale abbiamo consultato tutto quel che abbiamo potuto trovare su Majakovskij: dalle biografie ai testi ermeneutici, ma passando anche per le interpretazioni che ne erano state date sulla scena, da Carmelo Bene a Pierpaolo Capovilla, fino a Majakovskij stesso, del quale si trovano un'interpretazione teatrale nel cinema muto e perfino una paio di interpretazioni vocali. Uno studio che è continuato quando abbiamo assemblato tutto sulla carta e, poi, quando lo abbiamo messo a punto sulla scena. E che non è terminato, perché ogni volta che riprendiamo in mano il materiale quello torna a modificarsi.

AAJ: In questo libero crearsi e ricrearsi della materia, qual è stata la genesi cronologica dei principali elementi strutturali? Prima il testo, poi la musica, poi la loro armonizzazione sulla scena?

AB: Sì, ho scritto prima il testo perché era la cosa su cui mi sentivo più debole—come ho detto, non sono un drammaturgo. Perciò abbiamo deciso che saremmo andati avanti con il progetto solo se avessimo ritenuto il testo sufficientemente valido. Poi ho scritto la musica, in un modo per me piuttosto insolito: a parte un brano, per il quale avevo in mente fin da prima una linea di basso, l'ho infatti composta tutta di seguito, partendo dall'inizio e arrivando fino in fondo. Oltre un'ora di musica che ho scritto senza interruzione, leggendo il testo pezzo a pezzo e componendo di conseguenza. Da questo punto in poi è iniziato il lavoro sui tempi, che abbiamo fatto insieme con Chiara: un lavoro, come dicevo, massacrante, perché ogni nota è stata pensata e a ognuna è stato dato un senso, in funzione del suo lavoro interpretativo.

AAJ: E per te che sei un'attrice, Chiara, che esperienza è stata trovarti a interagire in questo modo con la musica?

CC: Avevo avuto le precedenti esperienze con Arlo sulle letture, le quali—pur diverse—mi avevano trasmesso l'urgenza di un dialogo con la musica, quasi fosse una sorta di altro attore accanto a me e non un accessorio di supporto alla mia sola recitazione. Ed è per questo che anche nelle occasioni precedenti avevo sempre cercato di restare in ascolto della musica. In questo caso l'ho proprio pensata come un attore con il quale essere in dialogo: l'ascoltavo, rispettavo i suoi tempi, aspettavo le sue pause, seguivo i suoi umori. Un'esperienza non sempre semplice, perché in alcuni momenti è fatale sentire l'esigenza di interpretare in un modo diverso da quel che ti suggerisce la musica, ed è questa la ragione per cui ci siamo confrontati così spesso e siamo intervenuti tanto sul materiale scritto, per modificarlo, adattarlo, correggerlo. Oppure correggere la mia interpretazione.

AB: Va pure detto che, lavorando in scena anche con delle basi elettroniche, il margine di improvvisazione che alla fine rimane a Chiara c'è, ma è molto ristretto: al tale suono deve corrispondere la tale parola, altrimenti il filo del discorso si interrompe. Per questo lei è sottoposta a un così grosso sforzo di attenzione.

CC: Ma questo non è sempre limitante: in realtà, una volta compreso e interiorizzato il percorso "fisso," questo diventa funzionale alla parte improvvisativa, come una "bussola" che ti permette di non perderti nel caos della fantasia. Un po' come accade agli improvvisatori che si orientano facendo riferimento a delle partiture grafiche.

AB: E comunque la presenza di questi "paletti" alla libertà della voce sono dovuti al desiderio di dare al progetto un contenuto musicale ricco, complesso, senza ricadere nella funzione di mero accompagnamento che ha nei reading: in quelli c'è il pianoforte, o al limite un altro paio di strumenti, ma senza grandi arrangiamenti; qui invece ci sono tante cose, con un arrangiamento complesso. Insomma, la musica doveva essere importante, non una mera coreografia per testo e voce. Ed è questo che esalta il lavoro di Chiara: perché è lei che s'è messa al servizio della musica, non il contrario.

AAJ: Quanto ti ha influenzato la musica, Chiara, nel definire le intenzioni interpretative vocali del testo?

CC: Moltissimo! Poiché cercavo di stare sempre in dialogo con la musica, era lei che mi suggeriva un quadro, anche emotivo, di interpretazione. Poi io, in quel quadro, ho cercato di esplorare quante più opzioni interpretative possibile, anche confrontandomi con Arlo. Ma era la musica a guidarmi.

AAJ: Rispetto alle precedenti letture con accompagnamento tu, da attrice, che tipo di passo avanti hai percepito?

CC: La differenza fondamentale è che lo sento come un vero e proprio spettacolo teatrale, cosa che la lettura invece non è. Anche perché non ho davanti il leggio, che tende a proteggere come una coperta di Linus e togliendo il quale cambiano sia l'interpretazione, sia il rapporto con il corpo, che va anch'esso in gioco nell'interpretazione.

AB: Infatti anche sul corpo abbiamo fatto un gran lavoro, perché io volevo che trasparisse anche un aspetto, diciamo così, "rock": le dicevo di guardarsi come si muove sul palco Patty Smith, che tipo di interpretazione dà di quel che canta o declama, perché volevo che, anche se non c'erano in gioco canzoni, ne venisse fuori qualcosa di diverso dal teatro e dal reading. È per questo che mi fa piacere quando qualcuno mi chiede dove abbia trovato questa "cantante": una cosa che succede piuttosto spesso, nonostante che Chiara nello spettacolo non canti mai!

AAJ: Sorprendentemente, nonostante di solito non ami la musica cantata perché non riesco a seguire contemporaneamente musica e significato dei testi, in questo caso non ho avuto difficoltà a farlo e sono riuscito ad apprezzare entrambi.

AB: Sarò immodesto, ma credo che, come dicevo prima, dipenda dal fatto che ogni intervento, anche il più piccolo dei suoni, è pensato in relazione alla voce e al testo che esprime. Era la sfida che volevamo affrontare: prendere dei testi e farli interagire con la musica, anche senza essere cantati, fino a renderli una cosa sola.

CC: E a livello live il lavoro continua sempre su questa base: dare senso non solo a ogni intenzione, ma anche a ogni movimento in relazione al testo e alla musica.

AB: Che poi nel disco la recitazione di Chiara è anche un po' più frenata rispetto al live, perché avevamo il timore di avvicinarci troppo ai due opposti estremi: da un lato la registrazione da radiodramma, dall'altro l'eccedere nell'intensità tanto da rendere il disco inascoltabile una seconda volta. Invece pare che ci sia riuscito di trovare un certo equilibrio, visto che c'è chi mi dice di ascoltarlo perfino in auto... In tutta sincerità, non capisco come facciano!

AAJ: Posso comunque confermare che il disco non richiede per forza un ascolto concentrato e che ripetuti ascolti non producono alcun senso di noia; anzi, tutto al contrario, pur ritrovando scene e suoni ormai conosciuti, arrivano ogni volta nuovi dettagli, come avviene nelle opere complesse.

CC: Era ciò che speravamo e a cui puntavamo: curare i dettagli in modo da dar vita a sfumature che si scoprono progressivamente e che spingono ad ascoltare più volte il lavoro, che gli danno un valore.

AAJ: È interessante notare anche che, sebbene come dicevate sia tutto studiato, all'ascolto il lavoro ha anche una sua imprevedibilità, e lo dice uno che di solito ascolta musica totalmente improvvisata... anche se, va ricordato, in Majakovskij! c'è anche uno specialista di questo genere, qual è Mirio Cosottini...

AB: La varietà degli stili musicali è senz'altro un tratto caratteristico del lavoro: se cerchi il progressive, c'è; se cerchi la musica contemporanea, la trovi; se cerchi i Weather Report, trovi anche loro, così come trovi l'heavy metal o il jazz... E comunque la molteplicità di riferimenti di genere è una caratteristica di tutti i miei lavori: io non faccio musica sperimentale, alla fine ci tengo che la musica sia comprensibile, che abbia la forma semplice della canzone; però sono curioso e tendo ad annoiarmi, per cui non posso non ascoltare più generi, cercarne sempre di nuovi, provare a darne nei miei lavori almeno dei piccoli saggi. Questa è anche la ragione—oltre la simpatia e l'intesa umana—per cui mi fa sempre piacere suonare con Mirio. Riguardo al quale devo dire anche che io l'ho diretto, con una serie di segni convenzionali che abbiamo stabilito, e lo faccio anche dal vivo, cosicché lui non è libero di spaziare a piacimento come fa quando suona la sua musica; tuttavia, quel che fa negli spazi che gli ho assegnato e con le indicazioni che gli do, fa sì che Majakovskij! senza di lui non sarebbe lo stesso. Ha una sensibilità veramente rara e anche in altre esperienze dal vivo è essenziale sia per me che per Chiara: ne senti la presenza, ti costringe a ponderare quel che stai facendo.

CC: E ti dà anche sicurezza, con gli sguardi e con la perentorietà dei suoi interventi. Averlo vicino, dal vivo, è molto importante.

AAJ: Com'è che l'organico s'è progressivamente allargato, fino a includere, nel disco, perfino Mirko Guerrini e Blaine L. Reininger?

AB: Anche questo rientra nel processo di crescita che ha caratterizzato Majakovskij!. Quando iniziammo dissi a Chiara che si scordasse di realizzare un disco, perché a me interessava solo l'esperienza live; poi, quando invece si decise di farlo, doveva esserci solo Frank Cusumano alla chitarra, ma subito ci volli dentro anche Mirio, che mi suggerì Mirko, messo dentro il quale pensai anche a Michele Marini. Blaine, che aveva partecipato a Tribæ, saputo da Giampiero che facevo questa cosa fu lui stesso a chiedergli se c'erano spazi per un suo intervento; poi saltò fuori anche l'opportunità di avere Guido Guglielminetti, che ha fatto un meraviglioso intervento con il basso in "Per una signorina." Ovviamente nessuno di loro ha registrato con gli altri, ci hanno mandato le tracce sonore come le avevamo definite assieme. Così alla fine si è accumulato così tanto materiale, tutto di qualità, che non sapevo più neppure dove metterlo; ed è per questo che è nata l'idea del doppio CD: il primo con lo spettacolo, con quella parte degli interventi degli ospiti che si è riusciti a usare senza distrarre il ruolo della voce; il secondo solo strumentale, con tutti gli interventi degli ospiti che non riuscivano a trovar posto nel primo.

AAJ: Questo risponde a una domanda che infatti volevo farti, perché altrimenti il secondo CD strumentale sembrava un po' un controsenso, per quanto apprezzabile sia in sé.

AB: Fosse stato per me avrei fatto uscire prima il vocale, poi con calma lo strumentale, che è parecchio diverso dall'altro, avendo lasciato quanto di bello avevano fatto gli ospiti, senza più preoccuparmi degli equilibri con il testo e la voce. Poi Giampiero ha deciso di fare tutto assieme: con Materiali Sonori ormai non produciamo moltissimo, questo è un bel regalo che ci siamo fatti tutti quanti. Detto questo, anche il disco strumentale rientra in quell'opera sempre in evoluzione che è Majakovskij!, perché—tanto per fare un esempio—il "Ma voi," quattordicesima scena dello spettacolo, che abbiamo eseguito live e trasmesso in streaming qualche mese fa dal Museo Venturino Venturi di Loro Ciuffenna, l'abbiamo fatto con la base dello strumentale, non con quella originale per il vocale! In altre parole, se quando finisce la pandemia riprendiamo il progetto dal vivo, niente assicura che non si cambi la musica dello spettacolo, riprendendo alcuni brani del CD strumentale. Del resto—anche se la pandemia ha fermato tutto—è già pronto pure un terzo volume che ho fatto con Flavio Ferri dei Delta V, che parte da rimissaggi e radicali ristrutturazioni dei brani originali.

AAJ: Dunque, riassumendo, siamo davanti a una cosa che è nata come esperienza di ricerca e sfida personale per un'atipica collaborazione tra un musicista e un'attrice, che ha attualmente quattro anni di vita pubblica, che ciononostante continua a evolversi—il live in continuo mutamento, i dischi, il libro, gli streaming che prendono spunto dallo spettacolo ma poi vanno oltre—e, cosa piuttosto sorprendente, continua anche a suscitare interesse, visto che prima della pandemia prevedevate diverse date e che ultimamente i brani del disco sono più volte passati in radio alla trasmissione cult Battiti...

AB: Tocchi un argomento che riapre una ferita dolorosissima. A febbraio dell'anno scorso percepivamo un fortissimo interesse per il progetto e sì, avevamo moltissime trattative in corso per delle date, fatte prima slittare, infine saltate per la pandemia. Ma non basta: contavamo di trovarne anche molte altre, perché volevamo utilizzare la primavera per la promozione del disco—avevamo eventi fissati presso librerie, piccoli teatri, associazioni—per poi ripresentare lo spettacolo in autunno. Ora vedremo cosa succederà: è saltato tutto, tranne la nostra passione e il lavoro di ricerca che continuiamo a svolgere sul materiale.

AAJ: Ed è proprio quest'attenzione che trovo sorprendente, non perché il progetto non lo meriti—anche se sono abbastanza anziano da non illudermi più riguardo al rapporto tra qualità e successo...—ma perché è decisamente atipico che l'interesse cresca con il tempo: di solito si vende il materiale nuovo, non quello che esiste da anni, anche se nel tempo si è evoluto.

CC: Credo questo dipenda proprio dal fatto che da parte nostra c'è la ferma volontà di non volersi fermare, fondamentalmente perché lo studio e l'evoluzione del materiale interessa per primi a noi stessi. Ne è una prova oggettiva il fatto che, nonostante l'inattività dovuta alla pandemia, si sia continuato a sviluppare il progetto, mentre soggettivamente me lo prova il fatto che qui a Roma, dove vivo attualmente, le persone che frequento abitualmente mi prendono in giro perché parlo continuamente di Majakovskij! e perché è sempre la prima cosa che comunico alle persone nuove che incontro. Per noi è un oggetto di studio da cinque anni, una cosa che ci accompagna e che continua a stimolarci, che non smettiamo di far crescere con noi: come potrei non parlarne a chiunque incontri? Questa, tutto sommato, è una cosa piuttosto rara oggi nel mondo dello spettacolo, perché—come giustamente osservavi—si punta in genere sulla novità, cambiando spettacolo e progetto dopo poche repliche o, al massimo, dopo una stagione, con ciò però sacrificando spesso la cura del dettaglio, la valorizzazione delle sfumature, la scoperta delle potenzialità nascoste. Noi, nel nostro piccolo e per l'interesse che abbiamo per ciò che quest'esperienza dà per primi a noi stessi, cerchiamo di puntare su altro: appunto sul suo incessante sviluppo. E, poiché ne parliamo agli altri trasmettendo loro la nostra stessa passione, forse riusciamo a far nascere in loro un interesse e una curiosità che altrimenti non sarebbe possibile. È un'altra delle mille sorprese nascoste dietro questo nostro progetto!

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