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Alessandro Sgobbio: la musica come viaggio verso sé stessi

Alessandro Sgobbio: la musica come viaggio verso sé stessi

Courtesy Chiara Esposito

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Per me è importante essere musicisti del proprio tempo, ma anche conoscere i doni del passato, e sapersi collocare all'interno di una tradizione.
Non capita spesso di potersi confrontare con musicisti dal profondo livello culturale e dalla caratura internazionale di Alessandro Sgobbio. A pochi mesi dall'uscita di Transparence, disco d'esordio del quartetto HITRA, abbiamo avuto la fortuna di poter discutere con il pianista di origini pugliesi dei temi e delle idee all'origine dei suoi progetti passati, presenti e futuri, e, più in generale, della valenza spirituale della musica in quanto momento riflessivo attraverso cui compositori, esecutori e ascoltatori possono intraprendere un viaggio alla scoperta di sé stessi.

All About Jazz: Il nuovo progetto HITRA ti vede ancora una volta coinvolto a fianco di musicisti del Nord Europa, dopo i Silent Fires coi quali hai pubblicato Forests lo scorso anno. Cosa ti attrae in particolare della musica del Nord Europa?

Alessandro Sgobbio: La mia connessione con il Nord Europa, e in particolare con la Scandinavia, nasce grazie a un incontro molto importante per me, sia sul piano umano che musicale, con Misha Alperin, che conobbi quando studiavo al Conservatorio di Parma, dove il pianista di origini ucraine venne a tenere un paio di masterclass e di concerti nell'ambito del Parma Jazz Festival. Da allora siamo rimasti in contatto per diversi anni, soprattutto a livello epistolare. Intorno al 2010, riallacciammo i contatti via email e mi invitò ad andare a trovarlo ad Oslo per un paio di mesi, voleva conoscere meglio me e la mia musica. Passavo le giornate a lezione da Alperin e nel tempo libero andavamo in giro per Oslo.

Da lì nacque in me un forte interesse verso il mondo scandinavo. In realtà già ai tempi in cui avevo iniziato a studiare musica ero molto influenzato dal pianismo scandinavo, in particolare dallo stesso Alperin, che considero un pianista e un compositore eccellente, oltre al fatto che è stato un mentore fondamentale per la mia formazione. In quel periodo, cominciai a viaggiare spesso in Nord Europa, fino a quando, con l'ammissione a un master presso la Norwegian Academy of Music, ebbi l'opportunità di sviluppare un progetto che prevedeva azioni itineranti in diverse città della Scandinavia. Cominciai allora a suonare dal vivo con Oyvind Skarbo e con Hilde Marie Holsen, che attualmente sono rispettivamente il batterista degli Hitra e la trombettista dei Silent Fires. Da queste connessioni nacquero i miei due più importanti progetti realizzati in collaborazione con musicisti del Nord Europa.

Venendo più specificamente alla tua domanda, devo ammettere con onestà che faccio fatica a regionalizzare il concetto di musica. Indubbiamente oggi esiste una corrente scandinava nella musica contemporanea, ma a me piace pensare che in fin dei conti anche la personalità e il vissuto di ogni musicista siano elementi fondamentali. Quello che posso dire rispetto alla musica scandinava, e in particolare in riferimento ai musicisti norvegesi, è che il loro sistema di insegnamento e di formazione alla musica li porta ad acquisire una libertà di pensiero per la quale tendono a focalizzarsi maggiormente sulla necessità di plasmare una propria voce personale e un'idea di suono e di musica particolare. In quei contesti il bisogno di dover continuamente dimostrare di saper fare tutto è secondario rispetto al lavoro su sé stessi. Tutti i musicisti del Nord Europa con cui collaboro, da Skarbø che ho già citato a Hilmar Jensson e a Jo Berger Myhre, tutti hanno sviluppato negli anni un suono unico, e non danno troppa importanza alla dimensione dimostrativa e performativa come accade nell'Europa mediterranea. Ecco, credo che per concludere ciò che più mi affascina del contesto musicale scandinavo sia proprio questa libertà nel poter suonare in armonia con sé stessi.

AAJ: Nell'ambito della critica e delle discussioni intorno al jazz, si fa spesso riferimento a un "sound europeo," più legato all'armonia e a un approccio concettuale verso la musica. Tu hai ormai un'esperienza internazionale decennale come musicista. Secondo te ha senso oggi parlare di "sound europeo" in tal senso?

AS: Credo che attualmente la musica sia fondata sulle commistioni e sulla mescolanza fra generi e stili. All'interno di questo contesto, una categorizzazione come quella di "sound europeo" non mi convince molto. Credo che ogni musicista sia portatore del proprio percorso e del proprio vissuto. Certamente un musicista proveniente da Paesi come Italia, Francia e Germania, che hanno alle spalle un'imponente tradizione musicale dal punto di vista storico, tende a interrogarsi maggiormente sul rapporto con la tradizione e con il passato. Forse i musicisti del Nord Europa da questo punto di vista sono più liberi da condizionamenti. Con Alperin ci interrogavamo spesso su questi aspetti, in particolare sull'importanza di conoscere da dove si viene per poter meglio definire la propria voce personale. Questa è una chiave di lettura che trovo più condivisibile: è importante essere musicisti del proprio tempo, ma anche conoscere i doni del passato, e sapersi collocare all'interno di una tradizione.

AAJ: Con Transparence sei tornato su un tema a te molto caro, quello della spiritualità. Che cosa rappresenta per te la dimensione spirituale? E che legame ci può essere fra musica e spiritualità?

AS: Ci sono certamente della analogie fra musica e spiritualità a livello di linguaggio: la musica contiene in sé una sorta di sacralità, basti pensare alla ripetitività dei gesti e dei movimenti dei musicisti; è una specie di rito, e in questo io ci vedo una forte analogia con la spiritualità. Nel mio percorso—che è del tutto personale, ci tengo a ribardilo—ho cercato di concentrarmi sul valore rituale e sacrale della musica, e quindi anche del gesto musicale. Non sono un teologo, ma il tema della spiritualità mi ha sempre affascinato, ho letto molti libri a riguardo, dalla Bibbia ad altre scritture più esoteriche. Influenzato da queste letture, ho cercato di dare vita, attraverso un processo di essenzializzazione delle melodie, a un repertorio che corrispondesse in un certo senso a delle piccole preghiere contemporanee, che potevano essere reiterate ma anche aperte all'improvvisazione. Da questo repertorio è nato appunto il progetto dei Silent Fires. Hitra è invece un quartetto tematicamente più sbilanciato verso i temi del viaggio e del percorso, anche perché io, Skarbø, Jensson e Myhre tendiamo maggiormente all'improvvisazione.

AAJ: Quali sono gli altri temi fondamentali di Transparence?

AS: Sia per i Silent Fires che per gli Hitra sono stato fortemente influenzato dalle idee sulla velocità del tempo, così come elaborate da Jean-Jacque Nattiez e da René Guénon. C'è il tempo della realtà, che è quello che viviamo tutti i giorni, e c'è poi il tempo che si crea attraverso la musica, un tempo creato non solo dai musicisti e dai compositori, ma anche dal pubblico stesso, perché il momento in cui si ascolta la musica fa parte di un tempo altro, esterno rispetto a quello reale. Questa potenzialità di poter creare un tempo alternativo attraverso la musica mi ha molto affascinato. Mi aveva colpito in particolare, nel pensiero di René Guénon, l'idea di una transizione continua da uno stato di armonia fra pochi elementi al caos generato da un'accelerazione spropositata del tempo e da una quantità enorme di elementi quale ultimo stadio che deve essere attraversato, autodistruttivamente, per poter poi tornare alla precedente condizione di calma. Ecco, secondo Guénon il mondo contemporaneo è immerso all'interno di questo stadio caratterizzato da un tempo accelerato e da un'assenza quasi totale di spiritualità. Mi sembra tutt'ora una definizione estremamente precisa del mondo in cui viviamo. I miei ultimi progetti nascono appunto da questo tentativo di creare attraverso la musica un tempo musicale più rallentato rispetto al tempo reale. Per questo il repertorio è fortemente caratterizzato da sospensioni, stasi e praterie sonore, all'interno di una dimensione temporale liquida.

AAJ: Cosa ascoltavi durante la creazione di Transparence? Quali sono le principali influenze alle origini di questo progetto?

AS: In quel periodo ascoltavo musicisti di tutte le epoche e generi, accomunati dal possedere una voce unica e inconfondibile, quali, per citarne solo alcuni, Arvo Part, Robert Glasper, Pj Morton, Johann Sebastian Bach, ma anche Misha Alperin, Jon Balke, Anouar Brahem, Joni Mitchell, Christian Wallumrod, Kaja Draksler, Kayhan Kalhor e Vijay Iyer.

AAJ: Ci dici tre dischi fondamentali per la tua formazione artistica?

AS: I primi tre che mi vengono in mente sono i seguenti: Vienna Concert di Keith Jarrett, La passione secondo Matteo di Bach, e poi tutta la produzione di Robert Glasper.

AAJ: Cosa ne pensi di come il mondo della musica e del jazz in particolare stiano reagendo alla crisi generata dalla pandemia? L'impossibilità di suonare musica dal vivo secondo te sta aumentando la distanza fra musicisti e pubblico o è il contrario?

AS: La crisi pandemica ha incrementato la quantità di produzione musicale, perché, non potendo suonare dal vivo, molti musicisti si sono dedicati alla composizione e alla registrazione. Come dici giustamente tu, credo che il rapporto con il pubblico sia il grande problema attuale. La dimensione virtuale purtroppo non consente di instraurare una relazione fisica, corporea, con l'ascoltatore. La virtualità è certamente qualcosa che ci porteremo dietro anche dopo la fine della pandemia, perché è ormai entrata nella mente e nelle abitudini di molti musicisti e di buona parte del pubblico. Gli scarsi risultati dei concerti in streaming in termini di visualizzazioni dimostrano tuttavia, e per fortuna, che non si arriverà mai a poter rinunciare alla musica dal vivo.

AAJ: Che cosa hai in programma per i prossimi mesi? Quali sono i progetti futuri che ti vedranno coinvolto?

AS: In questi mesi continuerò a promuovere il disco degli Hitra, il vinile è uscito il 9 aprile scorso. Per quanto riguarda invece le novità, presto tornerò in studio di registrazione per realizzare il secondo disco dei Silent Fires. Ho poi un progetto di piano solo che mi piacerebbe realizzare dal vivo non appena sarà di nuovo possibile suonare ai concerti.

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