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Tomasz Stanko & Enrico Rava: Le Affinità Elettive

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Questo articolo era stato pubblicato l'11 settembre 2017 e viene ora riproposto in home page per ricordare il grande trombettista polacco scomparso il 29 luglio 2018.

Lo scorso luglio Enrico Rava e Tomasz Stańko hanno varato un super-gruppo ECM per un tour europeo di oltre due settimane, in Italia e Polonia, ovviamente, ma anche in Austria, Belgio, Norvegia, Paesi Bassi e Romania. Ne abbiamo approfittato per chiedergli di mettere da parte un momento di calma durante il frenetico tour per una "intervista a vicenda." Quella che segue è la trascrizione di quella chiacchierata, fatta prima del concerto romano, al Vittoriano, da cui emergono chiaramente le fonti delle loro affinità elettive.

Enrico Rava: Sei cresciuto in Polonia, durante il regime comunista. A che età hai iniziato a suonare la tromba?

Tomasz Stanko: Mio padre faceva il giudice ma era anche musicista, come del resto molti membri della mia famiglia. Quindi la musica ha fatto parte della mia vita fin dall'inizio. Ho cominciato a suonare la tromba abbastanza tardi, attorno ai 17 anni, dopo aver studiato violino e pianoforte, ma la musica classica non mi piaceva. Quindi dopo un po' ho lasciato perdere e mi sono interessato alla filosofia e ad altre forme artistiche, in particolare la letteratura e la pittura, dilettandomi a dipingere e andando a vedere mostre. Alla fine sono tornato sui miei passi e mi sono riavvicinato alla musica per amore del Jazz, che mi ha fatto decidere di ricominciare i miei studi musicali. Da quel momento in poi tutto quello che è successo lo devo alla mia passione per il Jazz. All'epoca c'era un programma radiofonico di Jazz molto famoso in Polonia. Lo ascoltavo tutti i giorni... C'era qualcosa nel Jazz che mi prendeva molto.

ER: Doveva essere difficile reperire dischi di Jazz in quel periodo...

TS: Era praticamente impossibile. L'unica vera fonte era la radio. Ma avevamo registrazioni su nastro. Ricordo ancora quando, dopo il mio primo concerto a Copenaghen, al Montmartre Jazz Club con il gruppo di Krzysztof Komeda, comprai il mio primo registratore, un Tandberg, un ottimo apparecchio norvegese.

ER: A chi ti sei ispirato quando hai iniziato a suonare la tromba?

TS: Senza dubbio Chet Baker, seguito da Miles Davis. Piuttosto tipico, direi. E presumo che questa è una delle ragioni per cui io e te abbiamo questa "connessione estetica." Ma ora tocca a te... parlami di come hai iniziato.

ER: Sono nato nel 1939 e quindi avevo appena sei anni quando è finita la seconda guerra mondiale. All'epoca in Italia c'erano le truppe americane che, oltre alla liberazione portarono cioccolata, caramelle, Coca Cola, Boogie Woogie e, ovviamente, Jazz. È per questa ragione che il Jazz, sin dall'inizio, ha avuto per me un significato particolare. Mio fratello aveva diversi 78 giri di Jazz grazie ai quali mi sono innamorato di Bix Beiderbecke e Louis Armstrong. Praticamente ho assorbito ogni nota degli assoli di tromba, clarinetto e trombone che c'erano su quei dischi. Li potevo cantare a memoria quegli assoli. Li ricordo ancora nota per nota e te li potrei suonare qui adesso. In quel periodo ero praticamente un bambino e stavo iniziando a suonare il piano. Dopo qualche tempo mi unii ad un gruppo Dixieland in cui suonavo il trombone. Ho iniziato ad appassionarmi al jazz moderno più o meno all'età di 14 anni, a partire dal quartetto di Gerry Mulligan con Chet Baker, che resta uno dei miei gruppi preferiti. Da lì passai a Charlie Parker e poi ovviamente Miles Davis, della cui musica mi innamorai completamente. Nel 1956, quando avevo 17 anni, Miles Davis venne a suonare a Torino, assieme a Lester Young, al Modern Jazz Quartet e a Bud Powell. Mi fece perdere la testa. Un paio di settimane dopo comprai una tromba e iniziai a suonarla cercando di imitare Miles ascoltando suoi dischi come Walkin', Bags Groove and Blue Haze.

TS: La mia esperienza è stata sostanzialmente simile. Ricordo che da giovane ero affascinato da film come quelli del Neorealismo italiano: Vittorio De Sica, Anna Magnani, il primo Fellini, Roberto Rossellini... Davvero forti. Avevamo qualche tipo di connessione con il mondo occidentale. La stessa cosa accadeva con la musica di Mulligan e Chet...

ER: Certo. Qualche tempo fa, in un mio workshop con giovani musicisti, sono rimasto stupefatto dal fatto che questi ragazzi non conoscessero Mulligan o Baker. Non li hanno mai ascoltati e così si perdono delle emozioni incredibili. Per me loro hanno rappresentato la porta per entrare nel jazz moderno, perché sono accessibili, facili da capire, come Bach, ma allo stesso tempo nella loro musica c'è una quantità di emozioni...

TS: E anche di swing.

ER: Uno swing fantastico. Un modo ideale per entrare nel jazz moderno. Da loro sono passato a Bird, Dizzy Gillespie, e tutto il resto.

TS: Ricordi come ci siamo conosciuti?

ER: Io ero convinto che fosse il '63, ma tu mi hai detto che era il '65.

TS: Sì, era il '65. Un incontro con Miroslav Vitous, Jan Hammer...

ER: Tu suonavi con Krzysztof Komeda. E Miroslav era con la sua famiglia, se non sbaglio.

TS: Era con il suo trio, con Jan Hammer e suo fratello [Alan, N.d.R.] alla batteria con i quali formava il Junior Trio.

ER: Ci fu un pranzo con Buck Clayton, non ricordo se c'eri anche tu.

TS: Questo non lo ricordo, il che è strano visto che sono un fan di Buck Clayton.

ER: Io e te abbiamo storie differenti, ma allo stesso tempo molto simili e parallele. Ambedue abbiamo registrato per la ECM. Io l'ho fatto prima, nel 1975, con John Abercrombie, Palle Danielsson. Ma ricordo il tuo primo disco con ECM: Balladyna. E ricordo di aver pensato: wow, Tomasz Stanko, lo voglio incontrare!

TS: E naturalmente in quel periodo anch'io ho sentito parlare di te. Poi insieme suonammo con Cecil Taylor, nella Two Continents Orchestra.

ER: Sì, fu un'esperienza veramente intensa, stancante per il numero di date del tour ma anche divertente. Cecil, aveva preso alla lettera la dicitura presente nei contratti dove dopo il compenso segue la frase "più le spese." Fu così che dopo l'ultimo concerto del tour, a Colonia, Cecil decise di fare un party nella sua suite all'Hotel Dom, ordinando in continuazione champagne, salmone, caviale e telefonando agli amici a New York per salutarli. In un angolo della suite, c'era la manager, Gabi Kleinschmidt, che piangeva. Le chiesi perché e lei mi rispose "perché so che tutto questo dovrò pagarlo io..." Fu un tour faticoso, non trovi?

TS: Verissimo. E poi ci fu l'incidente a Milano, all'inizio del tour.

ER: Una cosa terribile. Tu hai visto come si è verificato?

TS: Non ricordo esattamente, ma ero proprio lì vicino...

ER: Stavamo raccogliendo le nostre cose sul palco e l'impianto luci cadde giù. La cantante, la compagna del batterista, ora non ricordo il suo nome, era proprio sotto. Ad un tratto Gunter Hampel gridò: attenta! Guardai e vidi la cosa arrivare giù molto velocemente, dritta sulla testa della cantante. Per questo motivo non ha potuto continuare... Ha poi inciso il disco?

TS: No.

ER: È stata portata all'ospedale di Milano e anche il batterista non è più venuto con noi, essendo rimasto con lei. Mi pare che per fortuna se la sia cavata ma è stato comunque terribile... Poi tu sei andato a New York vero?

TS: Mi sono trasferito a New York nel 2008 ma tu ci eri stato anni prima. Anche sotto questo punto profilo abbiamo una biografia simile.

ER: Io ci andai nel 1967.

TS: Quanto tempo ci sei rimasto?

ER: Dieci anni.

TS: Avevi modo di suonare?

ER: Si, ho suonato con varie band e con musicisti come Roswell Rudd e Steve Lacy. Poi avevo il mio gruppo comprendente John Abercrombie... come sai non era facile vivere da musicista a New York.

TS: Si, lo so.

ER: Non era proprio una bella vita ma per fortuna nel 1975 ho iniziato a registrare per l'ECM...

TS: Allora abbiamo iniziato nello stesso periodo...

ER: Così ho iniziato a fare tour in Europa e la mia vita è cambiata completamente.

TS: Io avevo già registrato per alcune etichette polacche prima che l'ECM cambiasse il mio percorso. Stavo lavorando con Edward Vesala e lui era in contatto con Manfred Eicher tramite Jan Garbarek e abbiamo messo su il primo progetto.

ER: Il mio primo disco [Katcharpari, N.d.R.] l'avevo registrato per la MPS, assieme a John Abercrombie, Chip White e Bruce Johnson, nel 1973. Il disco ebbe un'ottima accoglienza e vinse anche alcuni premi. In Germania fu anche nominato disco del mese... L'anno successivo Manfred si trovava e New York e pensò di contattarmi. Katcharpari gli era piaciuto molto, e così ci incontrammo e mi offrì di iniziare a incidere per lui. Feci quindi un tour in Europa con Palle (Danielsson, N.d.R.), Jon (Christensen, N.d.R.) e John Abercrombie e poi registrammo The Pilgrim and the Stars nello studio di Ludswigsburg al Tonstudio Bauer.

TS: Anch'io incisi il mio primo CD per la ECM, Balladyna, al Tonstudio!

ER Forse resta ancora il mio studio preferito, anche per via delle sue dimensioni. Sembrava di suonare in una cattedrale, c'era un riverbero naturale e c'era un ingegnere del suono bravissimo, Martin Wieland.

TS: È vero, c'era proprio un bel suono in quello studio.

ER: Si poteva suonare senza cuffie.

TS: A me piace molto anche il vecchio studio di Oslo, il Rainbow.

ER: Lo amano tutti quelli che ci hanno registrato. Io incisi il mio secondo disco, The Plot nello studio in cui l'ingegnere del suono del Rainbow, Jan Erik Kongshaug, lavorava all'epoca, il Talent Studio, ma non ho un buon ricordo, forse perché fuori faceva così freddo... ed era piccolo, io preferisco l'enorme TonStudio Bauer. Ora dove registri con Manfred?

TS: Ad Avignone, con Gérard de Haro, anche lui molto bravo e con uno studio molto buono.

ER: Al momento lo studio di registrazione che preferisco più di ogni altro è in Italia, l'Artesuono di Stefano Amerio. Mi sento completamente a mio agio lì. Ma passiano al nostro tour... come pensi che stia andando?

TS: Benissimo. Ottima sezione ritmica, abbiamo tempo per suonare ma anche per rilassarci, insomma un bel tour.

ER: Tu non solo sei un musicista fantastico ma anche un compagno di viaggio ideale, non ti lamenti mai neanche quando abbiamo diversi giorni di trasferimenti pesanti. Sai cosa intendo... Io non sono sicuro di essere un buon compagno di viaggio, ma tu sei giovane mentre io ho 78 anni [Tomasz Stanko ride]... Tu non puoi capirmi, hai solo 75 anni, ma dopo i 75 ogni anno che passa sembra come 10 anni di più... A volte, quando devo affrontare itinerari complicati con tanti viaggi in treno o aereo, mi sveglio al mattino e dico "oh no, adesso chiamo e dico che non sto bene e che non posso partire." Fortunatamente quando suono mi sembra di tornare ventenne, ma appena scendo dal palco ricomincio "oh, merda, domani siamo di nuovo in viaggio..."

TS: In scaletta abbiamo qualche idea improvvisata, un paio di pezzi tuoi, un paio miei, e qualche brano di Giovanni Guidi.

ER: Non abbiamo nemmeno fatto prove, un paio di ore a La Spezia e basta...

TS: Mi piace il fatto che suoniamo lo stesso programma ad ogni concerto, sempre secondo la stessa sequenza. Secondo me è il modo migliore per procedere, anche nei casi in cui abbiamo due set nella stessa serata.

ER: Miles faceva lo stesso, ha suonato per anni sempre gli stessi pezzi. Anche all'epoca del quintetto con Wayne Shorter, ad esempio, su disco registrava i pezzi di Shorter, ma nei concerti dal vivo continuava a suonare "Stella by Starlight," "My Funny Valentine," "All Blues," per anni. Questo perché quando conosci davvero un brano, puoi suonare liberamente, hai libertà totale senza bisogno di pensare...

TS: Hai ragione. Succede la stessa cosa anche negli ultimi concerti di Wayne Shorter. Quasi non si riconoscono le composizioni, ma loro sanno perfettamente quello che stanno facendo...

ER: Il quartetto di Wayne Shorter è il gruppo che preferisco, resta sempre il più moderno e interessante...

TS: Anche per me.

ER: Sono musicisti bravissimi, ma è la musica quella che colpisce...

Foto: Marie Ferre

All About Jazz ringrazia Marie Ferre e Guido Gaito per aver facilitato questa intervista.

Trascrizione a cura di Enrico Bettinello, Mario Calvitti, Ludovico Granvassu, Angelo Leonardi e Giuseppe Segala.

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